
Attraverso la musica e le canzoni, ci si può rivolgere a chiunque, a prescindere dal fatto che sia una persona, un animale, un oggetto, che sia un amico o un estraneo, che sia vivo o, magari, non sia mai esistito.
Se è vero che si può dare forma e suono ai colori di ogni giorno, Roberta Barabino lo fa attraverso la sua musica con uno stile personalissimo, facendoci elevare lo sguardo verso orizzonti a volte dimenticati o custoditi nei nostri cassetti più segreti. La musica di questo disco, infatti, contiene sia sonorità mediterranee che toccano corde a noi familiari, sia un profumo di Nord, di ampio respiro e pensiero.
Viandanti, personaggi reali o di fantasia, oggetti e attimi sfuggenti, sono tutti legati a un filo sottile che li unisce e li disegna in una tela che Roberta riesce a tessere con intensa sensibilità e incanto.
Per incidere Magot, il suo primo album, Roberta Barabino si è circondata dei suoi più fedeli compagni di viaggio, incontrati per un felice destino lungo il suo cammino artistico. Centro di gravità di questa produzione artistica è Genova, città culla e tesoro della nostra migliore canzone d’autore.
Spicca una nome, quello di Bob Quadrelli, cantautore e poeta genovese (vincitore del Premio Tenco del 1997 con i Sensasciou), tra i primi ad aver spinto e incoraggiato Magot nella scelta di pubblicare queste sue canzoni. Raffaele Redaudengo, violista del Gnu Quartet, ha curato invece la produzione artistica, portando nel progetto anche altri componenti del noto quartetto: Roberto Izzo (violino) e Stefano Cabrera (violoncello); a completare l’organico c’è il pianista Tristan Martinelli, il chitarrista Claudio Borghi e molti altri ancora. Tra i collaboratori, spicca il nome del sassofonista Antonio Marangolo, noto per la sua collaborazione con Guccini ma anche Conte, Capossela, Endrigo, Makeba, etc.
Un cammeo è rappresentato sicuramente dall’artista contemporaneo Giovanni Rizzoli, sua infatti la cover dell’album (Silhouette - collezione di Federico Piccari).
Nel disco sono presenti anche suoni quotidiani, di oggetti o persone, che Roberta ha immortalato nell’atto compositivo. Qualche traccia – racconta la cantautrice genovese - l’ho registrata in casa e poi portavo i file in studio, per esempio i miei cori e i passi, le percussioni fatte con oggetti di casa, il temporale, il mio cane, i campanellini, i rumori di strada e il glockenspiele. Mi piaceva che, oltre al silenzio dello studio, in qualche pezzo si sentissero i rumori quotidiani, quelli veri che per esempio sento in casa mia e all’interno dei quali le canzoni nascono veramente.
La scelta del titolo viene da un soprannome francese con cui il padre, a cui questo disco è dedicato, era solito chiamarla. Magot vuol dire infatti “bertuccia” ma anche “tesoro”.
Magot rappresenta sicuramente una disco d’ispirazione, un suono leggero ma sapiente a cui è difficile rimanere indifferenti.
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